Cesare Rascel

Cesare Rascel, ponte Italia e America 

di 5 Settembre 2024

Cesare Rascel, figlio dell’indimenticato Renato, ha vissuto in prima persona numerose fasi della musica italiana e internazionale ma nella sua carriera c’è stato un momento chiave che lo ha portato a diventare direttore artistico del NYCanta. «Fin da piccolo sono stato sempre in giro per l’Italia ed il mondo seguendo i miei genitori che erano sempre in tour, credo che questo abbia contribuito molto ad avere una visione molto aperta della musica e ad apprezzare tutti i generi, senza eccezione. Ritengo che non ci siano stili musicali belli o brutti, ma solo brani più o meno belli. Proprio in occasione di uno dei miei tanti viaggi in America fui interpellato per far parte della giuria del Festival NYCanta, era il 2018. In quell’occasione ebbi modo di conoscere Tony Di Piazza, il patron del festival, e i membri dell’associazione culturale Italiani di New York che da ormai 16 anni portano avanti questa splendida “missione” con l’obiettivo di unire la comunità Italiana di New York attraverso la musica. Non solo, fu proprio in questa occasione che ebbi il piacere di incontrare un valido produttore discografico di Milano, anche lui chiamato a giudicare la competizione: Beppe Stanco. Quell’incontro fortuito si sarebbe a breve trasformato in una amicizia e partnership importante per la vita di entrambi. La sintonia fu immediata e subito percepita anche dal patron Tony Di Piazza, che riconoscendo subito le nostre esperienze, così diverse ma complementari, alla fine dell’edizione in corso ha deciso di affidarci la direzione artistica del festival. Da allora quella sinergia non ha fatto altro che crescere, così come l’affetto personale tra Beppe e me, così come la collaborazione con l’associazione, uniti con lo scopo di rendere il NYCanta un punto di riferimento per le comunità Italiane nel mondo ed una splendida opportunità per giovani artisti emergenti Italiani di andarsi ad esibire nella città della musica più ambita al mondo». 

Cesare Rascel, ponte Italia e America 
Cesare Rascel, ponte Italia e America 

Nel 2017 hai fondato il progetto “Mad For Italy”, che si propone di promuovere la cultura italiana all’estero. Di cosa si tratta nello specifico e quali obiettivi stai perseguendo per diffondere l’arte e la musica italiana nel mondo?

«Nei panni di “ambasciatore della cultura Italiana” inizialmente ci sono finito non tanto per scelta consapevole ma per dovere etico. Con un padre come il mio a un certo punto mi sono reso conto che dovevo assolutamente promuovere e mantenere viva la memoria della sua arte. Quindi, una volta che ho iniziato a intraprendere questo percorso ho pensato: perché non promuovere la cultura artistica Italiana in tutte le sue sfaccettature?   Uno dei primi progetti che uscivano dal tracciato canonico “Rascel Legacy” fu proprio la produzione esecutiva di “Concerto Napoletano” al Jiudith Anderson Theater di Broadway nel 2001, con la grande Miranda Martino, che ripercorreva tutta la storia della musica napoletana. Negli anni poi ho avuto la fortuna di poter portare avanti questa “missione” con discreti risultati. Nel 2023 ho ricevuto il Bond Street Award al Westminster di Londra e il Premio Caruso a New York, proprio per il mio impegno nella diffusione della cultura musicale Italiana bel mondo».

Prima ancora hai studiato alla Berklee College of Music di Boston e hai lavorato per molti anni negli Stati Uniti, collaborando con band emergenti e realizzando importanti produzioni. Come ha influenzato il tuo approccio alla produzione musicale l’esperienza americana?

«Fare l’università in America ti da la capacità di strutturare i progetti in maniera incredibilmente efficiente. Non solo: io, da ragazzo cresciuto a botte di “Saranno famosi” e “Magnum PI” mi sono subito innamorato della cultura americana che col tempo sono riuscito a fare mia. Ho avuto anche il piacere e l’onore di essere molto vicino al grande Tony Bennet e di seguirlo in tour per quasi un anno, rubando con gli occhi tutto ciò che potevo. Non solo da lui come superbo performer, ma anche dal suo team di musicisti, producer e manager. Un’esperienza assolutamente ineguagliabile.  Tutto questo credo mi abbia molto aiutato a fare mia la loro capacità di mischiare stili, di trovare ispirazione e lasciarsi influenzare dalle più disparate esperienze di vita. Infine, ho imparato a non fare mai compromessi sulla qualità perché poi si vede». 

La finale del NYCanta a New York è un evento di grande visibilità, trasmesso in mondovisione e con un pubblico molto vasto. Come prepari i partecipanti a questa sfida e quali sono le competenze che ritieni indispensabili per avere successo su un palcoscenico internazionale?

«Il palco di New York è molto particolare, ma le sue particolarità le condivide con tutti i palchi su cui si esibisce un italiano fuori dall’Italia: affronti un pubblico che bene o male si aspetta di vedere un Italiano, con i suoi stereotipi, i suoi pregi e i suoi difetti.  Ognuno può cavalcare questa aspettativa come crede ma ritengo che bisogna ponderare bene il prodotto che si presenta.  Mi spiego meglio: non andrei a scimmiottare il rap, il soul, il gospel, il rock o il jazz agli americani, per quanto bene uno lo faccia, a meno che l’artista non riesca a dargli un tiro che lo caratterizzi con quel romanticismo, melodia, afflato che lo rendano unico e riconducibile alla nostra cultura! Non è il caso di andare a vendere frigoriferi in Alaska». 

La collaborazione con artisti affermati ha portato un notevole valore aggiunto al festival. Come avviene la selezione dei giudici e degli ospiti e che ruolo giocano nella crescita dei giovani talenti?

«Il nostro si chiama showbusiness, quindi non c’è show senza un cartellone che attragga l’interesse del pubblico, delle tv, dei giornalisti e, assolutamente non per ultimi, gli artisti concorrenti!  L’associazione, e in particolar modo Tony, hanno sempre cercato di portare a New York dei nomi molto amati dal pubblico, cercando di trovare un buon bilanciamento tra gli artisti che rappresentano la grande musica italiana e che trovano la grande approvazione del pubblico in sala e quelli che la musica Italiana la stanno evolvendo e la porteranno ad essere grande anche nel futuro. I nostri concittadini residenti nelle varie comunità n giro per il mondo, di cui mi onoro di far parte, non ascoltano più solo “O sole mio” o “Arrivederci Roma”, ma sono affamati anche di musica nuova, attuale». 

Cesare Rascel, ponte Italia e America 
Cesare Rascel, ponte Italia e America 

Oltre alla direzione artistica del NYCanta, hai anche fondato il “Premio Rascel” in onore di tuo padre , un evento che celebra le eccellenze dello spettacolo italiano. Come riesci a bilanciare questi due importanti progetti e quali valori comuni li uniscono?

«Il Premio Rascel è stato uno degli eventi più importanti della mia vita! Sia per il cuore che professionalmente. Ho perso 5 kg nei due mesi antecedenti alla serata, ma in entrambi i casi il mio impegno è quello di offrire la più alta qualità e livello di show che posso. Su questo zero compromessi, anche se mi costa nottate in bianco, extra lavoro, o se mi tocca discutere con qualcuno per raggiungere il risultato». 

Essendo cresciuto in un ambiente familiare artistico, con due genitori come Renato Rascel e Giuditta Saltarini, profondamente legati al teatro e alla musica, quanto ha influito la loro eredità nella tua formazione e nella tua carriera musicale? 

«Tantissimo! Sono uscito sul palco la prima volta a 3 anni. Ricordo che a 8 anni , durante un tour, una sera un fonico si sentì male e lo sostituii io… Il teatro mi è sempre piaciuto, come fa a non aver influenzato. Sono stato circondato da giganti dell’arte fin da piccolo: un’estate eravamo in vacanza a casa di Franco Zeffirelli. Una sera mio papà, Franco e Giancarlo Giannini, anche lui ospite, volevano giocare a poker, ma gli mancava il quarto… Così mi presero da parte, avrò avuto 10 o 11 anni, e mi insegnarono a giocare. Quella fu la mia prima partita di poker. Ancora oggi penso che il poker sia una perfetta metafora della vita».

Da non perdere!

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