Venezia 2022, impazza il toto-Leone: Panahi-Diop-Poitras in pole?

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(Adnkronos) – Impossibile prevederlo. Eppure sarebbe abbastanza facile a rigor di logica. Laddove la logica sia quella di premiare i più meritevoli. Ma i palmares di un festival, sfuggono il più delle volte a qualsiasi logica. 

Possibile che il Leone d’Oro possa tornare ad una regista donna, e a un film francese, ad un anno di distanza da La scelta di Anne – L’Événement di Audrey Diwan? Sì, è possibile. Perché il Saint-Omer di Alice Diop (tra l’altro esordio al film di finzione per la documentarista di origini senegalesi) è opera capace di coniugare il “tema” con l’intelligenza di una forma che non sia la classica, lineare, trasposizione di un racconto. 

Possibile invece che il premio più importante vada ad un regista già premiato con il Leone d’Oro, ormai nel 2000 (per Il cerchio), ma che stavolta non potrà ritirarlo per cause di forza maggiore (è in carcere)? Sì, è possibile, perché l’iraniano Jafar Panahi con No Bears (Gli orsi non esistono, prossimamente in Italia con Academy Two) è riuscito in un autentico miracolo cinematografico, realizzando dopo il già notevolissimo Tre volti un altro film che attraverso la fusione tra storia (nella storia) e linguaggio ricorda ancora una volta quale dovrebbe essere la funzione primaria di quest’arte, chiamata oggi come non mai ad una trasfigurazione del reale sempre più forte. E farlo in condizioni di cattività assume tutt’altro significato. 

E rimanendo in ambito “politico”, possibile che la presidente di giuria Julianne Moore attribuisca il Leone d’Oro ad un documentario? Possibilissimo, anzi molto probabile: c’è chi giura di averla vista piangere dopo la proiezione di All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, opera che non solo racconta Nan Goldin in quanto fotografa ma che ne fotografa l’attivismo deciso, fiero, nel contrastare la famiglia Sackler e il facile commercio dell’ossicodone. 

Questo rimanendo, come detto, nell’ambito della logica. Ma i premi, sappiamo anche questo, spesso sono anche una questione di cuore. E il cuore non può lasciar fuori Love Life di Kōji Fukada (in giuria c’è un certo Kazuo Ishiguro, premio Nobel per la letteratura), quasi sicuramente in palmares, magari premiato per la sceneggiatura, come difficile immaginare resti fuori The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh, film che ha messo d’accordo veramente tutti qui al Lido. 

Sul fronte Coppa Volpi il Brendan Fraser di The Whale è il favorito sin dalla vigilia della Mostra, ma siamo così sicuri che Ricardo Darín (Argentina, 1985) sia totalmente fuori dai giochi? 

Per l’interpretazione femminile stesso discorso: la Cate Blanchett del divisivo Tár è la strafavorita, ma se la Mostra per la prima volta premiasse un’attrice transgender? La Coppa a Tracy Lysette (Monica) non sarebbe così peregrina. Come allo stesso tempo si potrebbe premiare lo sforzo di Ana de Armas nei panni di una dolente Marilyn nel Blonde di Andrew Dominik. Ipotizzare il bis per Penélope Cruz (L’immensità) solamente un anno dopo quella vinta per Madres paralelas è forse inverosimile. 

Ci sarà poi un “Leone del 90°” per celebrare l’anniversario del Festival? Probabilmente no. Ma in caso contrario registi come Iñárritu (Bardo) o Amelio (Il signore delle formiche) potrebbero essere presi in considerazione. 

E l’Italia? E Netflix? Sembra impossibile che resti fuori da tutto con 4 titoli in gara, magari un Leone d’Argento per la regia (Bardo) o, appunto, la “sorpresa” cool di Ana de Armas, difficile però pensare a qualcosa di più. 

Per l’Italia il discorso è ancora più complesso: magari Bones and All di Luca Guadagnino (regista con cui la Moore ha anche lavorato, nel corto The Staggering Girl per la maison Valentino, forse converrebbe ricordarlo…) alla fine non agguanta il Leone più ambito, ma Gran Premio o Premio della Giuria potrebbero arrivare. 

Molto dipenderà anche dal peso “politico” che avrà in giura Leonardo Di Costanzo: diciamo che per quanto riguarda il Premio Mastroianni, quello assegnato ad un attore o ad un’attrice emergente, ce la giochiamo su più tavoli: Margherita Mazzucco era già nota per L’amica geniale, certo, ma al cinema è la sua prima volta con Chiara. Esordienti a tutto tondo invece Leonardo Maltese (Il signore delle formiche) e Luana Giuliani (L’immensità). 

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