(Adnkronos) – “La prima cosa che chiedo ai colleghi europei che si trovano sul campo qui in Ucraina, quando li accompagno e li ‘formo’ per svolgere il loro lavoro sul teatro di guerra? Di essere empatici con le vittime di questa tragedia. Loro ci devono parlare, è logico, ma si tratta di persone drammaticamente sotto choc ed è fondamentale non peggiorare la loro situazione”. A dirlo all’Adnkronos, in un’intervista da Kiev, è Andry Kovalenko, Ceo dell’Accademia Nazionale Ucraina della Stampa, che nel quotidiano si occupa di fornire formazione qualificata ai giornalisti e, dall’inizio della guerra su larga scala, collabora sul campo indirizzando e aiutando i colleghi europei. Â
“Devo dire -racconta Kovalenko- che ci sono anche persone che vogliono parlare, raccontare cosa è successo, perché per loro è come una specie di terapia: dopotutto, se non lo racconti al mondo è come se non fosse successo”. Il giornalista ora si trova a Kiev, “ma sino a ieri mi trovavo nel Donetsk -spiega- dove la situazione è molto tesa, sono in corso azioni belliche attive, continui attacchi, spari, i russi tentano continuamente di prendere il controllo amministrativo delle regioni di Donetsk e Luhansk ma per il momento non riescono. Ma siamo in una situazione di guerra attiva”. La difficoltà totale, per i giornalisti inviati al fronte, “è quello della sicurezza. Perché trovandosi in vicinanza diretta rispetto alle zone di combattimento bisogna calcolare bene i percorsi di spostamento, stare continuamente in contatto con i militari, anche perché la situazione cambia ogni secondo”.Â
Il tema della propaganda è ‘caldo’, e il giornalista ucraino risponde secco: “La propaganda esiste, certo, ms risolvere il problema di come dare le notizie è semplice: bisogna venire in Ucraina e vedere con i propri occhi cosa sta succedendo. I colleghi che vengono qui, vedono direttamente che qui non ci sono le basi Nato o i laboratori chimici”, scandisce. La propaganda “esiste anche in Ucraina, ci sta, è la guerra, ma bisogna differenziare. Se una persona ragiona, può smentire tutto ciò che viene veicolato dalla propaganda russa facendo semplici ricerche in rete”. Â
Tra gli episodi che più gli sono rimasti impressi nella mente di questi tre mesi di guerra a contatto con i colleghi europei, Kovalenko non ha dubbi: “La reazione dei miei colleghi quando abbiamo lavorato vicino alla linea del fronte. A volte siamo stati a poca distanza dagli spari diretti. Quello che mi è rimasto impresso è l’obitorio di Bucha, e la reazione dei colleghi che hanno parlato con i parenti che aspettavano i corpi dei loro parenti. Sui loro occhi ho visto le loro facce, l’incredulità , lo choc”. Â
Fare l’inviato di guerra non è uno scherzo. “Un giornalista ha bisogno dell’accredito da parte del governo, perché altrimenti non può parlare di quanto avviene in Ucraina”, dice il Ceo dell’Accademia della Stampa, che spiega: “Sul campo, la sicurezza è tutto: tra le cose che servono come minimo equipaggiamento casco, giubbotto antiproiettile, telefono satellitare perché la prima cosa che fa il nemico è cercare di danneggiare le connessioni”. La scritta ‘Press’ “nelle zone di guerra diventa un obiettivo per i russi, perché sanno che racconteranno i loro crimini”, avverte Kovalenko. Che conclude con un pensiero ai colleghi italiani: “Vorrei ringraziare tutti i paesi europei per l’aiuto che ci viene dato in questa guerra. Grazie per non averci abbandonato -dice- E ai lettori di questo articolo vorrei dire infine di continuare a sostenerci, perché se Putin non viene fermato, saranno i prossimi”. Â