Vissani: “In cucina? Manca l’umiltà, tutti vogliono andare in tv”

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Vissani: "In cucina? Manca l'umiltà, tutti vogliono andare in tv"

“Per carità, non farmi gli auguri in anticipo”. Gianfranco Vissani compirà 70 anni il prossimo 22 novembre e, parlando con l’Adnkronos, mostra il suo lato scaramantico assieme a quello umile: un aspetto del suo carattere, quest’ultimo, a cui con siamo certo abituati pensando al vulcanico e spesso irriverente chef di Baschi. “70 anni di vita e di attività che ho portato avanti con gioia e dolori, come qualsiasi storia d’amore”, racconta il patron di Casa Vissani, che non nasconde una vena malinconica pensando all’azienda creata negli anni ’60 dai genitori, “portata avanti sasso dopo sasso, con grandi sacrifici, da mio padre e da mia madre e in seguito da me”. 

“Ho accettato la sfida di restare qui – rivela – in questo piccolo paese dell’Umbria da cui sono scappati tutti dopo che l’Enel realizzò il lago artificiale di Corbara. Ma sarei potuto andare in America, dove c’era il lusso sfrenato, dove aprono mille locali al giorno e – è vero – duemila ne chiudono, ma sono sicuro che lì avrei avuto successo. Ma poi ho deciso di restare nell’azienda di famiglia e di non abbandonarla, di coltivare la tradizione, proprio come un contadino. Il mio lavoro – aggiunge – è stato quello di innovare la cucina regionale”. 

Fra i piatti che ha rivisitato nel corso della sua lunga carriera, Vissani ne ricorda con affetto alcuni legati alla sua infanzia, come “la pizza cotta sotto la cenere con i broccoletti e la salsiccia, davvero irraggiungibile, la frittata con le cipolle che mi preparava mia mamma, il coniglio fritto e infine, d’obbligo la domenica, la bistecca di vaccina che mio padre cucinava sulla brace… e poi le paste che mia nonna portava per dessert e che da bambino aspettavo con trepidazione”. 

Ricordi che fanno parte d’altri tempi, e forse di un altro mondo, per Vissani, critico invece riguardo la ristorazione di oggi: “Anziché a cucinare, oggi i cuochi aspirano ad andare in televisione, dove si guadagna e non si hanno spese. Ma la cucina è una cosa e lo spettacolo un’altra”. Lo dice Gianfranco Vissani parlando con l’Adnkronos in occasione del suo prossimo 70esimo compleanno, precisando subito, e smarcandosi da una possibile e facile obiezione, che “quando facevo Uno Mattina, io davo consigli e ricette, correggevo gli errori dei telespettatori ai fornelli, portavo avanti e diffondevo la cultura culinaria, non facevo uno show. Invece oggi siamo circondati ovunque da gente che si vanta di sapere e che ti snobba, e da radical chic che non sanno nulla”.  

“La pianta, diceva mio padre, si piega quando è piccola – prosegue lo chef di Casa Vissani, a Baschi, parlando dei giovani cuochi – altrimenti dopo è troppo tardi. Oggi l’agricoltura soffre, non si trova il personale. Vogliono tutti essere subito dirigenti e chef, non vogliono fare sacrifici, si considerano degli ‘schiavi’, mentre soprattutto all’inizio ci vuole umiltà, oltre a una grande sensibilità. Anche la giacca nera che ora indossano in cucina è il segno dei tempi: si sentono più alla moda, già arrivati, mentre invece dovrebbero vestire di bianco per vedere se sono sporchi di sugo. Ancora – insiste – i giovani dovrebbero capire che il punto di partenza è legato sempre alla tradizione, non ai piatti che si realizzano con i sifoni e con l’azoto. Mentre gli chef, mi piacerebbe che per il mio compleanno mi facessero il regalo di non essere gelosi delle proprie ricette: i segreti non servono a niente ed è giusto che i professionisti trasmettano ciò che sanno ai ragazzi”.  

Infine parla del “salto nel burrone”, in particolare della ristorazione, che non si sarebbe mai immaginato dopo tanti anni di lavoro: “Chi si sarebbe aspettato due anni fa una cosa come il Covid? Poi, appena è arrivato, ho capito subito che non si trattava di uno scherzo e ho detto che ci sarebbero voluti almeno cinque anni per uscirne. Il green pass, i no vax e quelli che per mille ragioni non si vaccinano, le battaglie per le riaperture: abbiamo affrontato ogni cosa, ma la paura di chiudere a Natale resta, e c’è chi ha dato la vita per riaprire. Oggi – conclude – al governo ci vorrebbe un politico come Craxi, un decisionista che era davvero l’ago della bilancia e che faceva la differenza”. 

di Cristiano Camera 

 

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