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Montante attacca Morra: “Vuole intimidire la Corte”

Montante attacca Morra: "Vuole intimidire la Corte"

“Mi hanno ucciso, anche fisicamente, mi hanno umiliato, sono arrivato a pensare anche al suicidio ma non l’ho fatto, perché voglio avere fiducia in questa Corte”. Antonello Montante scoppia a piangere, mentre lo dice. L’ex Presidente degli industriali, nella terza udienza dedicata al suo interrogatorio sollecitato dalla difesa, parla per oltre tre ore. L’udienza si è tenuta ieri ma era a porte chiuse, adesso l’Adnkronos è in grado di rivelare tutto l’interrogatorio. Montante ribadisce più volte di “non avere mai fatto dossieraggi”e “anzi, di averli subiti” e che contro di lui ci sarebbe “un disegno preciso”. Si dice convinto che “tutti vorrebbero, anche i giornalisti, che io accusassi i magistrati, ma non lo farò. Neppure i pm che hanno fatto l’indagine”. E annuncia di “essere pronto a tirare fuori delle carte” per smascherare “i lupi travestiti da agnelli”. Non ha preso bene la presenza del Presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, ieri, al bunker del Malaspina di Caltanissetta. E oggi, in una nota, diffusa dal suo legale Giuseppe Panepinto, dice: “La inquietante presenza del Presidente della Commissione Antimafia Morra, che si aggira nei corridoi dell’Aula Bunker, rilasciando interviste e lanciando anatemi, è un chiaro tentativo di intimidazione della Corte che dovrà giudicare Montante nel giudizio di appello”.  

Per l’ex paladino dell’antimafia la presenza di Morra “è una inspiegabile ed ingiustificabile invasione di campo di un organo istituzionale, che piuttosto che assumere il ruolo di arbitro imparziale, nelle sedi di propria competenza, assume il ruolo di dodicesimo uomo in campo. Morra non è nuovo ad indebite esternazioni. Già nell’imminenza della camera di consiglio di primo grado aveva manifestato pubblicamente premonitori giudizi di condanna sommaria, esternati in articoli di stampa”. Morra, raggiunto dall’Adnkronos, preferisce non replicare. E se la prende pure con il Questore Emanuele Ricifari: “È altrettanto sorprendente che il Questore di Caltanissetta, che dovrebbe mantenere un contegno istituzionale, si abbandoni e condivida sui social esternazioni di stile calcistico di giornalisti faziosi e di parte. Io sono certo che la Corte non si lascerà intimidire”. Anche l’altro legale, Carlo Taormina, non risparmia critiche a Morra: “Eventuali intenti intimidatori che fossero stati coltivati dall’onorevole Morra con il suo intervento altamente mediatizzato e con le sue valutazioni, sarebbero respinti al mittente, pur non potendosi non evidenziare un atteggiamento del parlamentare non proprio in linea con la sua istituzionale posizione di imparzialità”, dice Taormina. E ribadisce la disponibilità di Montante “ad essere ascoltato in Commissione Antimafia, essendo suo desiderio ristabilire una verità che forze occulte e pezzi di mafia di ritorno hanno mistificato fino all’inverosimile rappresentato dalla vicenda giudiziaria”.  

Nel corso dell’udienza di ieri Montante, rispondendo alle domande dei suoi legali, ha detto: “Io non ho mai fatto dossieraggi. Non ho mai utilizzato nessuna informazione, nessuna raccolta di carte o di articoli nei confronti di nessuno. Anzi, li ho subiti”. Poi è tornato a parlare della ‘stanza della legalità’, una stanza ”segreta”, trovata durante le perquisizioni, dietro una libreria, nella villa del presidente di Confindustria, a Serradifalco, vicino Caltanissetta. ‘Centinaia di faldoni che sono stati sequestrati. Ma non tutti, perché proprio ieri Montante ha mostrato alla Presidente della Corte d’appello Andreina Occhipinti alcune cartelle contenenti degli articoli e altri fogli. “Era uno spazio di 1 metro e 50 per un metro e 50, la stanza della legalità – dice – quando arrivavano persone vicine a me, come Alfonso Cicero” l’ex amico e oggi uno dei più grandi accusatori, “loro stesso andavano a posare il fascicoletto nella stanza”. E aggiunge: “Quella stanza non si poteva chiudere. C’era una porta di metallo, una porta blindata, ma era difettosa da 14 anni e per rimuoverla ci volevano tanti soldi. Poi c’era un mobile, una libreria piccola. Non potevamo lasciare gli scaffali di ferro aperti e c’era una libreria senza catenacci”.  

“C’erano solo carte – continua ancora – Spesso non le leggevo neppure. Tutte le fascicolazioni di Cicero non le leggevo. Erano scritte di pugno suo. Gliene mostro una sola”. E fa vedere alla Presidente della Corte d’appello Andreina Occhipinti una cartella contenenti dei nomi. “Cicero mi scriveva una carpetta di pugno suo, aveva questa fissa tutti i nominativi, poi li selezionava per regione per provincia. Le potevo mai leggere? Le mettevo nella stanza. Mi sono messo la mani nei capelli, quando le ho viste”.  

Parlando del pentito Salvatore Di Francesco, mafioso di Serradifalco, paese d’origine di Montante, dice: “Io parlai di Di Francesco ma anche di Vincenzo Arnone già allora. Dopo ogni operazione antimafia, io venivo in questo palazzo. Dicevamo che era conveniente stare dalla parte dalla legalità E ora mi trovo sotto scacco mentre per Marco Venturi, che ha assunto Arnone, perché era sua persona di fiducia, è tutto a posto. Immaginate se avessi fatto un favore ad Arnone, mi avrebbero linciato, a partire dai giornalisti”. Vincenzo Arnone è figlio del presunto boss Paolino, morto suicida in carcere nel 1992. Arnone, ritenuto membro della famiglia mafiosa nissena, è amico di infanzia di Montante. E il padre Paolino, anche se per l’accusa sarebbe stato il figlio Vincenzo, è stato testimone di nozze di Montante, nel 1980, quando l’imputato aveva 17 anni. 

Anche questa volta dice di essere in possesso di alcuni documenti che potrebbero essere “interessanti”. “Io potrei tirare fuori un sacco di documenti, se solo fossi stato chiamato dalla Procura di Caltanissetta. Ero pronto a contribuire alla ricerca della verità, a dire chi erano i lupi travestiti da agnelli”. E parlando del vicepresidente della Regione siciliana, Gaetano Armao, per il quale avrebbe chiesto degli accessi abusivi informatici, dice: “Non ho mai chiesto un accesso abusivo per Gaetano Armao, perché non avevo nulla da chiedere. Anche se viene addebitato a me. Eravamo in buoni rapporti, andava d’accordo con me, lo conoscevo bene e non avevo assolutamente nulla da chiedere. Non andava d’accordo con Alfonso Cicero, perché a suo dire Armao ostacolava le nomina di Cicero. Ma lo faceva nelle sedi opportune”. Montante anche questa volta mostra una cartella bianca alla Corte.  

“E’ intestata Irsap – dice – me le consegnava Cicero (ex presidente Irsap ndr) e all’interno ci sono i suoi appunti, ci sono articoli di giornali o appunti. La raccolta di tutto quello che succedeva ad Armao, e le consegnava. Credetemi, anche se lo so che non è facile credermi. Ci sono un sacco di cartelline che non furono sequestrate”.  

Nel corso dell’interrogatorio Montante ribadisce più volte: “Io non sono qui per accusare qualcuno, perché avrei tante cose da dire su queste persone, ma non sono qui per questo. Siamo in un’aula di giustizia e ho rispetto. Mi limiterò a dire dei fatti documentati”. “Non mi spaventano le querele – dice – questa Corte avrà, documento su documento, quello che sto per dire. Mi auguro che ci siano più querele possibile così potrò chiarire tutto”, riferendosi alle querele annunciate da alcune persone, tra cui Alfonso Cicero, uno dei suoi più grandi accusatori. E sull’ex assessore regionale Nicolò Marino e magistrato dice: “Non ho mai chiesto informazioni sul dottor Marino. Le uniche informazioni che ho chiesto riguardavano la targa della sua Ferrari, su sollecitazione del mio vice Giuseppe Catanzaro”. “Un giorno venne a casa mia Catanzaro, il mio vice – dice – che era in contrasto da anni con Marino. L’informazione è stata poi veicolata direttamente a Catanzaro”. 

E per chiudere sottolinea ancora di non avere intenzione di parlare “male dei magistrati”. “Ne ho conosciuti 61 – dice – e se io oggi parlassi male di tutti i 61 magistrati che ho conosciuto non sarebbe giusto. Io sono sempre stato chiamato dalle forze dell’ordine non ho mai proposta un’attività mia, sono sempre stato chiamato”. E parla di “un disegno contro di me” che “ha distorto la verità”. “Io non ho nulla da raccontare di magistrati, neppure su chi ha fatto le indagini. C’è stato c’è stato un disegno preciso”. Il processo è stato rinviato a martedì prossimo, 13 luglio per proseguire il 14 luglio. Per continuare ad ascoltare le dichiarazioni di Antonello Montante. 

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