3 Giugno 2021

Giacomo Merlo: “Ho sconfitto le discriminazioni grazie all’amore per il mio lavoro”

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Giacomo Merlo: "Ho sconfitto le discriminazioni grazie all'amore per il mio lavoro"

«Ero un bambino di cinque anni quando ho scelto il mio destino. O forse è lui che mi ha scelto. Come? Attraverso lo schermo di un televisore». La storia di Jack, ballerino che all’anagrafe si chiama Giacomo Merlo, inizia da lontano.

Nella Livorno dove è nato. E dove, guardando la Tv insieme a mamma Michela, scopre il talento di Michael Jackson e sceglie di diventare un ballerino. Oggi, alla vigilia del compimento del suo diciottesimo compleanno, quello che non era solo un sogno, ma una precisa volontà, è la realtà.

Giacomo Merlo: "Ho sconfitto le discriminazioni grazie all'amore per il mio lavoro"
Giacomo Merlo: "Ho sconfitto le discriminazioni grazie all'amore per il mio lavoro"

«Non ballo soltanto. Sono diventato coreografo e riesco ad alternare le due attività, simili e complementari, grazie all’esperienza maturata all’estero. Da Livorno, dove ho studiato all’Areadanza per questi dieci anni, mi sono spostato a Firenze per studiare all’Accademia di danza Opus Ballet ma, sempre accompagnato dai miei genitori, ho vissuto un’adolescenza decisamente atipica: ero sempre con la valigia pronta per andare a perfezionarmi in varie scuole di danza. Fino a quando a Dublino ho trovato la mia dimensione, quando sono entrato a far parte della Fly Dance Studio, una delle scuole di danza più famose a livello internazionale». 

Come ha vissuto il momento della pandemia?

«Le chiusure di tutte le attività già dal primo lockdown non mi hanno impedito di continuare ad allenarmi. E nemmeno di lavorare. In Italia il settore è stato tra i più penalizzati e ancora oggi siamo indietro rispetto ad altri paesi europei e non solo. Così, approfittando del fatto che posso spendere il mio nome a livello internazionale, ho fatto di nuovo le valigie». 

Dove è andato a ballare? 

«In realtà, sono andato ad insegnare. Ma già durante i mesi di marzo e aprile del 2020 lavoravo, online. Ho tenuto dei corsi di hip hop sulla piattaforma web di alcune scuole in Messico: non è stato facile, per via del fuso orario. Ma è stato determinante per non abbattermi. Io non ho mai aspettato di vedere la luce in fondo al tunnel, perché non ci sono proprio entrato, in quel tunnel. Ho avuto delle difficoltà logistiche, come tutti, ma appena è stato possibile perché le regole lo permettevano ho accettato tanti inviti dall’estero. Grazie al mio profilo Instagram (www.instagram.com/giakomo03) riesco a tenermi in contatto con amici e colleghi che ovviamente non abitano a pochi passi da casa mia, ma sparsi in tutto il mondo. Nei mesi scorsi ho iniziato a fare lezioni a Parigi, al Lax Dance Studio e in varie accademie in Spagna, a Madrid. Lì ho avuto modo di consolidare dei rapporti già esistenti allargando il mio orizzonte professionale: ho partecipato ad alcuni video pubblicitari che saranno trasmessi in Tv dal prossimo autunno». 

Perché non ha pensato di insegnare anche in Italia? 

«Lo farò, eccome. Al momento non posso: dal punto di vista burocratico è complesso. Inoltre, all’estero c’è una mentalità più aperta che mi permette di dimostrare cosa so fare a prescindere dall’età. All’estero non ho mai avvertito alcun pregiudizio e quello che ho imparato ad apprezzare, nelle varie esperienze che ho avuto modo di fare, è lo spirito di collaborazione con gli altri insegnanti e coreografi: nessuno ha mai pensato che io potessi rubare loro il lavoro. Qui, purtroppo, è diverso. Ancora non passa il messaggio che l’età è solo un numero e l’esperienza, del resto, non è data dall’età». 

Come immagina il suo futuro oggi, considerando che è ancora molto giovane? 

«Voglio continuare a ballare e a migliorarmi. Nel corso degli anni ho avuto modo di imparare tanti stili ma, principalmente negli ultimi tempi, mi sono concentrato sull’hip hop perché lo sento più affine a me. È uno stile che mi rispecchia e mi dà energia. Pur amando tutta la danza, sento che nell’hip hop posso dare il meglio di me e non a caso avrei dovuto partecipare all’Hip Hop International, che è il Campionato mondiale di danza hip hop e si sarebbe dovuto tenere a Phoenix, in Arizona. Ovviamente la pandemia mi ha fermato, ma solo temporaneamente. Diciamo che è un appuntamento rimandato. Così, pur volendo continuare a ballare, voglio al tempo stesso perfezionarmi come coreografo, sempre a livello internazionale. Non parlo così perché mi sta stretta l’Italia, anzi. Ma proprio perché ho avuto lì opportunità di mettermi alla prova in contesti diversi, oggi quella di spostarmi la vivo come un’esigenza. Devo essere grato ai miei genitori che mi hanno sempre supportato e creduto in me, ma anche alla mia tenacia che non mi ha mai permesso di mollare, anche nei momenti più difficili». 

Quali sono stati? 

«Ho tralasciato le uscite con gli amici. Nella mia memoria non ho ricordi di serate in piazza o in pizzeria con i miei coetanei. Il sabato sera? Per me non esisteva, perché la domenica dovevo ballare, o comunque allenarmi. Sono stati piccoli sacrifici, lo so. Lo dico oggi. Ma per un ragazzino di tredici o quattordici anni non erano così piccoli. La mia determinazione è sempre stata più forte, anche quando mi sono scontrato con le discriminazioni, che ho superato». 

Che tipo di discriminazioni? E come è riuscito a superarle? 

«Quando studiavo alle scuole medie mi guardavano come se fossi un alieno. La danza, che è una disciplina a metà tra lo sport e l’arte, è considerata principalmente femminile. Quando mi sono iscritto al primo corso, all’età di cinque anni, ero l’unico bambino. Con il tempo ho iniziato a vedere delle maggiori aperture, ma ancora oggi si pensa che la maggior parte dei ballerini sia omosessuale. E anche se fosse? Che problema c’è, che problema ci sarebbe? Io ho una mentalità molto aperta e sono forte al punto di farmi scivolare addosso ogni critica, perché l’amore per quello che faccio è più forte dei pettegolezzi e delle chiacchiere da bar. Se la gente vuole parlare, parli. Io penso a ballare e ad ottenere risultati». 

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