27 Aprile 2021

Test genetici ‘svolta’ per curare cancro al seno, ma solo il 33% dei centri ha le tecnologie

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Test genetici 'svolta' per curare cancro al seno, ma solo il 33% dei centri ha le tecnologie

Tracciare una carta d’identità del tumore al seno e individuare le cause della sua crescita, grazie all’analisi in laboratorio delle mutazioni genetiche. Una realtà su cui si basano le innovazioni scientifiche e le nuove opportunità di cura per le donne, ma che oggi riguarda solo una piccola percentuale di pazienti. Lo rivelano i dati di una ricerca Iqvia realizzata per Novartis, che ha coinvolto quasi 300 reparti di anatomia patologica e laboratori di biologia molecolare su tutto il territorio nazionale, per mettere a fuoco le tecnologie disponibili e il loro effettivo impiego per effettuare test di sequenziamento genico. Tra i reparti coinvolti, solo il 33% ha a disposizione tecnologie di sequenziamento genico e tra questi solo il 30% effettua questo tipo di test per il tumore al seno.  

In Italia oggi sono oltre 37mila le italiane che oggi convivono con una diagnosi di tumore al seno avanzato e la rilevazione delle mutazioni genetiche responsabili della crescita del tumore offre importanti valori per orientare il percorso di cura, grazie anche a innovazioni scientifiche sempre più mirate ad agire sulle specifiche caratteristiche genetiche del tumore. “Siamo di fronte a una svolta per il trattamento del tumore al seno che richiede la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici che tengano sempre più conto della diagnostica molecolare avanzata. Le conoscenze sviluppate sulle cause genetiche alla base della crescita tumorale hanno infatti portato a definire percorsi terapeutici differenziati in tumori mammari con particolari alterazioni genetiche quali ad esempio i tumori HER2+ e i tumori BRCA ½ mutati”, spiega Pierfranco Conte, ordinario di Oncologia medica all’Università di Padova e Direttore Oncologia 2 all’Irccs Istituto Oncologico Veneto.  

“Recentemente – riferisce – sono state messe a punto nuove terapie target, mirate ad agire su specifiche mutazioni, come la mutazione PIK3CA che riguarda circa il 40% delle pazienti. Queste innovazioni, alla luce del paradigma attuale di diagnosi e trattamento – sottolinea – richiedono la messa a punto di nuove strategie, che mettano in primo piano il ruolo della diagnostica molecolare e la collaborazione tra clinici e laboratori”. 

Tra le mutazioni a carico delle pazienti c’è anche quella del gene PIK3CA, il gene mutato più comune nel carcinoma mammario. Questa mutazione è presente in circa il 40% delle pazienti con tumore mammario HR+/HER2- (sottotipo che rappresenta circa il 60% di tutti i tumori mammari). Rilevare la presenza di questa mutazione è importante per trattare le pazienti con una terapia mirata. Un approccio ‘di precisione’ assume infatti ancora più importanza se si considera che la presenza della mutazione PIK3CA correla con una prognosi sfavorevole e una più scarsa risposta alle terapie endocrine o chemioterapiche tradizionali. 

“La disponibilità di avanzate tecnologie di diagnostica molecolare e le scoperte scientifiche sulla genomica del tumore hanno profondamente cambiato il ruolo del laboratorio, che oggi e sempre più nel prossimo futuro sarà il punto di partenza imprescindibile del percorso diagnostico e terapeutico per la cura del tumore al seno”, commenta Angelo Paolo Dei Tos, direttore dell’Anatomia Patologica all’Università di Padova.  

“Oggi in laboratorio siamo in grado di rilevare lo stato di mutazione dei geni coinvolti nella crescita del tumore al seno, come le mutazioni ereditarie del gene BRCA1/2 e la frequente mutazione somatica, quindi non ereditaria, del gene PIK3CA.- continua Dei Tos – Conoscenze e tecnologie che per tradursi in pratica clinica richiedono la messa in atto di un nuovo modello, per garantire ai reparti di anatomia patologica la disponibilità di tecnologie e risorse per effettuare i test di sequenziamento genico e per favorire la collaborazione tra laboratori e reparti di oncologia”.  

 

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