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8 marzo, corsi ai medici per una ‘Cardiologia al femminile’

8 marzo, corsi ai medici per una 'Cardiologia al femminile'

Nei Paesi occidentali le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte per le donne. La ricerca ha evidenziato importanti differenze di genere nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura di queste patologie. Diversità dovute non solo a fattori biologici, ma anche sociali e culturali, che si sono acuiti durante la pandemia di Covid-19. In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, Daiichi Sankyo Italia e Fondazione Onda-Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere supportano l’iniziativa ‘Cardiologia al femminile’: due corsi di formazione per medici tenuti da alcune delle più note cardiologhe italiane.  

In programma in formato webinar oggi 8 marzo e mercoledì 24, i due corsi si propongono di “offrire un approfondimento sul tema con un focus sulla fase post-menopausale, sull’incidenza dell’ictus tromboembolico nella donna e la differenza nella risposta alle terapie – si legge in una nota – anche in relazione all’infezione da Covid-19, per la quale le stesse malattie cardiache rappresentano uno dei principali fattori di rischio”. Alle relazioni scientifiche segue una tavola rotonda al femminile, per “un confronto sull’equilibrio di genere nel settore sanitario, considerato ormai una questione di health policy”. 

Significative differenze di genere sono note per numerose malattie di diverse branche specialistiche. In particolare, però, “le donne hanno una percezione particolarmente bassa del rischio cardiovascolare e tendono a sottovalutare i sintomi”, ricordano i promotori dell’iniziativa. Inoltre “spesso presentano manifestazioni cliniche di difficile diagnosi, tendono ad avere maggiori complicanze e dunque peggior prognosi, e utilizzano farmaci studiati su campioni prevalentemente maschili, poiché soprattutto nella fase di sviluppo di un farmaco bisogna tener conto della vita riproduttiva e delle comorbilità che rendono la donna un soggetto più problematico nella sperimentazione”. 

Il problema delle differenze di genere in medicina riguarda anche Covid-19. “Sono emerse fin dalle prime fasi dell’epidemia – afferma Nicoletta Orthmann, coordinatore medico-scientifico di Fondazione Onda – Sebbene i dati sulla ‘sindrome Long Covid’, la persistenza di sintomi successivi alla malattia, siano ancora esigui, già evidenziano che le donne avrebbero il doppio delle probabilità di sviluppare tale complicanza. Diversi sono i fattori chiamati in causa: non solo ormonali e biologici, ma anche socio-culturali, su cui si stanno conducendo numerosi studi con l’obiettivo di identificare strategie preventive e terapeutiche specifiche per uomini e donne. Senza dimenticare che le conseguenze sociali della pandemia in termini di disoccupazione, povertà e violenza hanno colpito molto più duramente le donne”. 

Entrando nello specifico delle malattie cardiovascolari, le differenze di genere cominciano dai fattori di rischio. “L’eccesso di rischio prodotto dal fumo, per esempio, nelle donne è da 2 a 4 volte maggiore rispetto a quanto osservato negli uomini – si evidenzia nella nota – ed è stato dimostrato che la forte associazione tra ipertensione arteriosa, mortalità precoce e insorgenza di coronaropatia è maggiore che nel sesso maschile e non esiste un valore soglia al di sotto del quale il rischio scompare”. Quanto poi alle manifestazioni di patologia e all’esito, “tra i soggetti di età compresa tra 35 e 84 anni gli uomini hanno circa il doppio dell’incidenza totale di morbilità e mortalità rispetto alle donne, ma il vantaggio è attenuato da un tasso di mortalità da attacchi coronarici che supera quello maschile (32% vs 27%)”.  

Ancora, “è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini (34% vs 27%)”. Perché “alle differenze si associano le difficoltà diagnostiche legate spesso alla diversa presentazione clinica delle patologie cardiovascolari nella donna – osserva Battistina Castiglioni, direttore Dipartimento Cardiovascolare e direttore Sc Cardiologia – presidio di Tradate, Asst Sette Laghi (Varese) – oltre alla scarsa consapevolezza sia da parte dei medici che delle pazienti della specificità della malattia cardiovascolare nel sesso femminile”. Per Cinzia Valenti, responsabile Servizio Cardiologia Istituto clinico Beato Matteo (Vigevano, Pavia), “considerare un approccio diagnostico genere-specifico in ambito cardiologico è di primaria importanza, tenendo conto che le patologie cardiovascolari rientrano tra le principali cause di morte nel sesso femminile. Fondamentali quindi conoscenza e consapevolezza della malattia cardiovascolare nella donna e una corretta stratificazione del rischio”. 

Un altro “problema grave e a lungo trascurato” nelle donne è l’ictus, “nonostante la patologia cerebrovascolare acuta rappresenti la terza causa di morte nel sesso femminile (nell’uomo è la quinta) – prosegue la nota – e una donna su 5 vada incontro nel corso della sua vita a un ictus, tanto che si prevede che nel 2050 la mortalità per ictus sarà il 30% più alta nel sesso femminile, a causa della loro maggiore longevità. Il sesso femminile modifica epidemiologia, espressione dei fattori di rischio, caratteristiche cliniche e prognostiche dell’ictus che vengono a modularsi sui cambiamenti della vita riproduttiva. L’incidenza dell’ictus è maggiore nelle donne fino ai 30-34 anni (+26%), minore nella fascia d’età intermedia (55-64 anni, -60%), per poi presentare un progressivo incremento dopo la menopausa e arrivare a essere significativamente più alta dopo i 75 anni (75 anni, +50%)”.  

“L’aumento di incidenza nelle giovani donne – analizzano gli esperti – è dovuto a fattori di rischio peculiari o specifici quali emicrania con aura, terapia estroprogestinica e gravidanza. Inoltre, per la maggior frequenza di sintomi d’esordio atipici e di forme rare, e per la scarsa conoscenze delle peculiarità di genere delle manifestazioni cerebrovascolari sia nei medici che nelle pazienti stesse, le donne sono esposte a un maggior rischio di diagnosi errata e di ritardato/mancato riconoscimento dei sintomi dell’ictus, che riduce la probabilità di usufruire degli interventi di ricanalizzazione sistemica e/o endovascolare in grado di modificare significativamente e positivamente la prognosi”.  

“Purtroppo esiste ancora un’importante barriera nella comprensione dell’ictus nel sesso femminile, dei suoi effetti e dei possibili interventi terapeutici sia in fase acuta che cronica, la cui causa va ricercata nella scarsa rappresentatività delle donne negli studi clinici, ma anche a ragioni di tipo culturale e psicologico – riflette Anna Cavallini, direttore Unità complessa Neurologia d’urgenza e Stroke Unit, Irccs Fondazione Mondino Pavia – L’ictus nelle donne è però un”epidemia incombente’, e nel prossimo futuro dovrà essere riconosciuta la priorità alla ricerca sull’ictus nel sesso femminile al fine di contenere l’impatto socio-economico di questa malattia”. 

L’ultimo approfondimento proposto dai promotori di ‘Cardiologia al femminile’ riguarda le differenze di genere nell’anticoagulazione. “La fibrillazione atriale – continua la nota – è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, di malattia cardiovascolare e di mortalità. Il rischio di stroke nella fibrillazione è tuttavia eterogeneo tra uomo e donna; diversi studi hanno infatti dimostrato che le donne presentano rispetto agli uomini un rischio di ictus incrementato e un rischio di sanguinamento particolarmente elevato, anche durante il trattamento con antagonisti della vitamina K. L’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminili”. 

“Lo dimostra ad esempio un’analisi pre-specificata dell’Engage Af-Timi 48, che – si legge ancora – aveva lo scopo di valutare il profilo di efficacia e sicurezza dell’anticoagulante orale diretto edoxaban nelle donne rispetto agli uomini. 21.105 pazienti i pazienti arruolati, di cui 8.040 donne; rispetto agli uomini le donne erano più anziane, avevano un peso corporeo inferiore, avevano maggiori probabilità di avere ipertensione e disfunzione renale, ma meno probabilità di fumare, bere alcolici, avere il diabete o la malattia coronarica. Nonostante molte differenze nelle caratteristiche di base tra donne e uomini, edoxaban al dosaggio raccomandato ha dimostrato rispetto al warfarin simile efficacia tra i sessi e una riduzione del rischio di sviluppare sanguinamenti con un beneficio amplificato nelle donne rispetto agli uomini”. 

“Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro, con un impatto fondamentale su diagnosi precoce e accesso alle terapie, così da migliorare l’outcome clinico”, conclude Piera Angelica Merlini, dirigente medico cardiologo Asst Grande ospedale metropolitano Niguarda, Milano. 

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