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Ermal Meta a Sanremo “Porto una canzone d’amore verticale”

Ermal Meta a Sanremo "Porto una canzone d'amore verticale"

Ermal Meta parla di Sanremo e del suo prossimo album. “E’un disco strano: è venuta la voglia di correre quando la libertà mancava”. Tribù Urbana è il titolo del prossimo disco del cantautore, che torna al Festival 2021 con “Un milione di cose da dirti”. Un ritorno sul palco dell’Ariston a tre anni di distanza dal successo insieme a Fabrizio Moro.

“Il ruolo più difficile? Sarà per Amadeus e Fiorello che dovranno parlare per tre ore davanti a un teatro vuoto. La mia solidarietà va a loro piuttosto che ai cantanti”.

Come è nata la tua canzone?

E’ un brano scritto in 10 minuti. Ho vomitato in maniera istantanea il testo in un momento di solitudine. Una canzone d’amore verticale, una semiretta che parte ma non sai dove va a finire. Una canzone che voglio lasciare aperta: non è un “e vissero felici e contenti” o “finisce là”. C’è la gioia della consapevolezza di aver avuto qualcosa di importante e che non pone nessun limite. Sono felice di quello avuto: so che parte da qui, sale verso l’alto e se finisce non lo vedo, non è un segmento e non so dove va a finire.

Hai vinto il Festival: come ci si ripropone con delle vittorie alle spalle? Cosa ti aspetti quest’anno?

Non mi aspetto di fare di nuovo una scorpacciata. Ci vado con uno spirito diverso. Tornare al Festival dopo essere salito sul gradino più alto potrebbe essere inteso come voler tornare a vincere. Non mi interessa, vado lì perché in questo momento è l’unico palco su cui salire. Mi interessa salire sul palco e fare musica dal vivo. E fare ascoltare una canzone che fa parte di un bouquet, che è il disco.

Quale il tuo milione di cose da dire?

Non ho messaggi particolari da lanciare. Al Festival vado con un proposito musicale. Voglio salire sul palco, cantare al meglio la mia canzone, la cover. Non ho un milione di cose da dire, mi interessa che chi ascolta possa emozionarsi insieme a me. L’emozione attraversa uno strato di pelle molto dura.

La canzone che porti a Sanremo è dedicata a chi? Perché si parla di fanali e sonagli?

Sono due personaggi. Non ho voluto utilizzare nomi per non confinare all’interno di due nomi una storia. Ogni nome è come un incantesimo ma ho voluto utilizzare queste figure per renderla un po’ fiabesca. Quando due persone stanno insieme, a un certo punto non ci si chiama per nome e quando lo si fa sembra strano. E ‘una canzone d’amore verticale, parte da qui e cerca di salire.

Duetti a Sanremo: perché Lucio Dalla e Caruso e non 4 marzo 1943 pur cantando in tale giorno?

Non avevo fatto il calcolo delle date. L’ho scoperto poco meno di una settimana fa dalla mia fidanzata. Ho scelto Lucio Dalla e Caruso, la canzone che in tanti mi hanno sconsigliato di fare. Cerco di andare contro quello che può essere un consiglio, anche saggio. Preferisco misurarmi con i miei limiti, mettermi i guanti di velluto e cercare di toccare qualcosa di intoccabile. Magari sbaglierò, però mi ci voglio misurare con questa canzone. Volevo provarci.

In questi anni è stata lanciata la delle cover. Con Baglioni è stata sostituita con l’interpretazione del brano in gara insieme a un ospite. Quale soluzione preferisci?

Preferisco la serata delle cover. Sono canzoni conosciute anche dai sassi e ti vai a misurare con qualcosa che la gente conosce. Anche per chi ascolta e guarda la serata non deve fare nessuno sforzo: deve concentrarsi soltanto sull’esibizione. s

Quanto ti ha messo i bastoni tra le ruote il virus?

Si vero ma ci sono state ruote più importanti delle mie. Il Covid ha cambiato il volto del nostro mondo e secondo me ne usciremo diversi, saremo cambiati. Credo per sempre nonostante la capacità dell’essere umano di dimenticare cosa fa male. Mi ha messo i bastoni ma ho avuto anche tempo per concentrarmi su cosa ho scritto.

Al primo ascolto colpisce impulso ritmico del tuo prossimo album. Come è nato il suono del disco e quanta voglia di portarlo live?

Ho una voglia immensa, questo disco l’ho concepito così. Mi immagino di essere sul palco e di suonare, scrivere quella canzone in diretta. Mi sono messo in platea immaginando di essere parte del pubblico. Gran parte delle persone che vedono i concerti vanno anche per cantare la musica che vanno ad ascoltare. Ho scritto delle canzoni che secondo me possono essere cantate a squarciagola. E ‘una commistione di suoni diversi. Conservato una parte classica legata al cantautorato italiano. È il caso di un milione di cose da dirti. Sono andato anche in direzioni diverse ma non sono rimasto all’interno di un genere. La musica è bella tutta, ovunque ti giri trovi qualcosa di bello. Ci ho messo dentro un po’ tutto quello che ho provato e ascoltato. Occupandomi in prima persona del suono, dipende anche dagli strumenti che vado a utilizzare.

All’interno del disco riesci a intercettare quelle storie che rimangono nascoste. Canzoni come gli invisibili: acuisci ancora di più la sensibilità di vedere gli ultimi, le persone di cui in pochi cantano.

È una canzone molto importante. Nasce dopo un viaggio negli Stati Uniti, due anni fa, dove ho fatto degli scatti. Ho fotografato, parlato con chi ho immortalato e mi ha raccontato la sua vita. Mi colpì un signore: quel giorno era il suo compleanno e pensai che fosse una bella storia, che nessuno avrebbe mai ascoltato. Una volta mi dissero: ”Cerca di restare invisibile, gli invisibili imparano a volare”. Ho immaginato l’esercito degli invisibili, mettendo insieme le due cose. Ho immaginato che da essere invisibili diventano supereroi.

Altri progetti cinematografici sui video?
Non ho mai, per mia mancanza, posto troppa attenzione ai video. Ho pensato fosse solo una questione di estetica, la canzone è più di sostanza. Ho visto che l’estetica del video diventa importante e penso che forse mi sono svegliato in ritardo. Ho iniziato a curare quell’aspetto.

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