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Samuel: “Negli ultimi due anni ho avuto un periodo deflagrante”

Samuel: "Negli ultimi due anni ho avuto un periodo deflagrante"

Samuel torna sulla scena musicale con “Brigatabianca” il nuovo album da solista a distanza di quattro anni da “Il Codice Della Bellezza”.

Album che annovera le collaborazioni con Colapesce, Ensi, Fulminacci, Willie Peyote e Johnny Marsiglia che danno vita a cinque featuring trascinanti. Oltre ai diversi produttori che hanno partecipato. C’è anche il tocco di Roy Paci all’arrangiamento, direzione dei fiati, alla tromba e flicorno soprano in due tracce.

Samuel: "Negli ultimi due anni ho avuto un periodo deflagrante"

Cosa troviamo di diverso di Samuel in questo disco? 

Di nuovo c’era “Il codice della bellezza”. Ho voluto fare una cosa non mia, farmi portare in un luogo a me non congeniale, ovvero quella della musica pop da classifica. Mi sono messo a disposizione di un mondo musicale per creare un’esplosione catartica. Sono riuscito a costruire un disco che ha propria vita e ancora oggi, suonando dal vivo, ha enorme energia e profondità. Ho fatto quello che negli anni ’80 facevano quasi tutti i cantanti: avevano idee e messe in mano ad altri.

Qui sono tornato a fare la mia musica e a gestirla in prima persona, affidando a produttori e artisti che mi rappresentano. Grazie anche al Golfo Mistico, avendo in mano la chiave, sono tornato a essere quello che ero prima, con tante cose successe in mezzo tra cui la pandemia che mi ha concesso il peccatuccio di fare musica non da assembramento. 

Samuel: "Negli ultimi due anni ho avuto un periodo deflagrante"

A proposito di concept e il significato delle bandiere: oggi rischia di essere qualcosa che divide. Il tuo senso è un altro…

Ovviamente, la bandiera per me e Marco Rainò il mio designer, è un linguaggio, simbologia. Un modo arcaico di raccontare, un grafico, un graffito. Racconta qualcosa che hai visto e devi ridisegnare. C’è la ricerca della bellezza nel tracciare le righe che compongono poi qualcosa. Piu che simbologia di unità, presente in questo album, ho incontrato amici e produttori. In quel momento hanno deciso di immergersi e lasciare una traccia all’interno del mio disco. È diventato un qualcosa un simbolo di unità.

Si parla di riflessioni nelle tue canzoni, che in un periodo come questo è qualcosa di attualità…

Sono canzoni nate prima della pandemia. Era uno dei momenti piu leggeri della mia vita. Per assurdo si fa tanto discutere questo momento che non include il futuro. Ma anche prima gli artisti hanno parlato di “non futuro” negli ultimi 10 anni. Un mondo che vive il presente e non si affaccia nel futuro. Questo momento mentre in evidenza carenze del nostro paese. Ho partecipato a tante manifestazioni contro i tagli alla cultura. Poi arriva la pandemia e la sanità alle corde, la cultura che deve inventarsi per fare delle cose pur essendo già alle corde. La perdita del senso del futuro la abbiamo avuta dopo gli anni ’90 quando quello che era successo era una bolla.

In Io e Te e Felicità vengono raccontate le tue rilfessioni…

I due brani raccontano la stessa sensazione in modi diversi. Io e te racconta un percorso, quando ti esplode tutto intorno e non ti accorgi che stai correndo e non sai distinguere cosa ti piace e cosa no. Poi arrivi a casa e ti fai bastare le sfumature che hai. Ma arrivi a un certo punto che hai la necessità di dire a te stesso cosa ti piace e cosa no. Vuoi quelle sicurezze intorno a te che sono la casa, le persone.

Felicità racconta le stesse cose ma con una versione diversa. Nella felicita cerchiamo l’arrivo. Quando accade? E’ raro. La cosa piu frequente è la ricerca, quel percorso che porta alla felicità. Quando hai 20 anni le persone cercano di arrivare al successo, vedono la luce in fondo e cercano di raggiungerla. Oggi mi rendo conto che il percorso che ho fatto è la cosa felice, è la cosa che mi ha portato ad essere felice. Aver percorso quella strada come volevo, con la libertà e con le persone che ho scelto io. 

Io e te parla di cambiamenti. Come ti senti cambiato dopo questo lockdown?

Negli ultimi due anni ho avuto un periodo deflagrante. Ho fatto un percorso accidentato emotivamente e molto importante. Mi ha fatto capire le cose che non volevo. Quando a volte ti trovi a rivivere le stesse cose e hai l’amaro in bocca. Il metodo peggiore, che è il migliore per risoluzione, è di mettersi dentro le cose brutte che esistano. Nel frattempo ho fatto cose grandissime, come disco con Subsonica, partecipazione come giudice a x Factor. Nel frattempo avevo una tragedia inferiore che si sviluppava. Mi è servito per mettere a fuoco la mia vita e capire cosa non volevo più. Nel comporre l’album ho scelto delle canzoni dal mio hard disk. Ne ho tantissime e ne vengono prese poche per un album. In io e te, scegliendola, mi sono ritrovato per vedere cosa sarebbe stata la base della mia vita futura. Racconta molto di questa cosa qui. 

Come nasce, invece, Veramente?

Veramente nasce da una cosa particolare. Ero in barca con un pescatore, si parlava dell’importanza del mare e di quanto lo trascuriamo. Finendo di parlare lancia la sigaretta in mare. E mi sono venute in mente le ipocrisie che commettiamo. Tutti noi regolarmente non ci accorgiamo di farle, e mi ha dato l’idea per questo brano. Diciamo una cosa e ne facciamo un altra

Palermo?

E’ una città in cui ho vissuto per questioni sentimentali. Non solo per amore ma anche per le persone che ho conosciuto. Una città che ha stratificazioni culturali immense, una cultura che esce dai tombini. E’ una città che ti entra nel cuore e ti travolge se sei pronto a farti travolgere. Città che vive di contraddizioni enormi, persone che sono schiacciate dalle modalità di vita del luogo e della regione. Città che mantiene onore e fierezza incredibili.e mi sono innamorato della città e l’ho raccontata.

Raccontaci di Cocoricò.

E’una delle ultime nate del disco. Avevo tantissimo materiale, ma molto simile. Avevo voglia di qualcosa che mi portasse da un’altra parte. Organizziamo un incontro con un produttore e abbiamo iniziato a parlare, raccontando me stesso. La prima cosa in mente è stata raccontare la serata al compianto Velvet di Rimini, che ha fatto la storia del nostro paese. Molti si sono formati guardando i concerti in quel luogo. Suonavamo insieme noi e i Bluvertigo. Una di quelle serate, una in particolare andata bene, ci ha visto scendere felici come se fossimo un unico gruppo. Al Velvet non potevamo rimanere e avevamo deciso di stare insieme, salire sul furgone e andare al Cocoricò. Capitanati da Morgan, che conosceva entourage del locale. Entriamo dal prive che era sempre addobbato in maniera strano. C’erano luci di Natale verdi che piovevano dal cielo, una giungla di luci verdi. Dall’ingresso poi fino ad arrivare alla console dove ci hanno ospitati come delle star. A fine serata siamo tornati in albergo e ci salutiamo. Raggiungo il mio letto, erano le 8 di mattina… Sento bussare dalla finestra. Apro, non vedo nessuno, mi affaccio e vedo Morgan che saltava da un balcone all’altro e bussava a tutte le finestre. Era stata una serata magica.

Continuerai così con brani cantautorali?

Lo faccio da sempre. Quando propongo le canzoni ai Subsonica lo faccio cosi. Grazie ai colleghi diamo quel qualcosa in più a livello sonoro. Ecco perché funzioniamo bene. In questo caso, dovendo pensare a un disco in un momento in cui assembramento sembra un delitto, mi sono concesso di mettere sul disco canzoni cantautorali pur non avendo flusso da discoteca. Non me lo ero mai concesso in cui dovevo fare musica da assembramento per far ballare le persone. Questo periodo mi ha concesso questa libertà.

I tuoi colleghi dei Subsonica hanno ascoltato il nuovo album? 

Non so se lo hanno ascoltato. Non ho avuto modo di vederli: quasi da marzo dello scorso anno che non ci vediamo e non riusciamo a vederci. È difficile. Ma siamo abbastanza sinceri nei nostri rapporti musicali, non ci siamo mai nascosti un parere. Aspetto con gioia il loro responso. È grazie a noi che siamo cresciuti. Il loro giudizio è importante. 

Tra le tue collaborazioni ci saranno alcuni prossimi protagonisti al Festival di Sanremo? Che ricordo hai di quella esperienza? Hai dato qualche consiglio a loro?

Li ho dati a tutti. Sanremo è un palco che mette ansia: i tuoi genitori sono li che ti guardano. Dietro la struttura, dietro il palco, c’è un mondo di tecnici, di persone, che sono lì e ti chiedono foto, mettono a posto cavi, c’è chi mangia il panino. Un mondo allucinante per un artista che deve salire sul palco. Se sali sul palco a cantare dieci canzoni, puoi bruciare la prima e poi ti riprendi. Ma con una canzone sola è difficilissima. Nel 2017 mi mimetizzavo, per cui quando arrivavo all’Ariston e andare in camerino, scendevo e andavo in sala. Mi mettevo in fondo, dietro il mixer, e guardavo il concerto. Vedevo tutti gli altri artisti: oltre a perdere ansia capivo come esibirmi poi nello spettacolo. Quella cosa li mi ha permesso di salire sul palco e fare la cosa giusta.

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