19 Dicembre 2020

Rap Made in Sicily. Intervista al produttore Lele Gambera e al rapper Giuseppe Monitto

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Rap Made in Sicily. Intervista al produttore Lele Gambera e al rapper Giuseppe Monitto

Scordia è un paese di circa sedicimila abitanti in provincia di Catania. Parte da qui la scommessa di Lele Gambera, trentatreenne compositore e produttore musicale che, dopo un’importante esperienza a Roma, ha deciso di mollare tutto e portare il suo ambizioso progetto professionale nella terra dove è nato e cresciuto. In pochi anni ha creato un importante hub musicale, un vero e proprio punto di riferimento per molti artisti locali e non. Per alcuni anche una palestra dove affinare il talento sognando i palcoscenici che contano. Tra questi, Giuseppe Monitto, 26 anni e qualche inciampo di troppo, che ha riversato nel rap. Cresciuto a pane e Gué Pequeno, a novembre ha pubblicato il suo primo EP. Il denominatore comune? Le radici. Entrambi, infatti, puntano al grande salto partendo dal medesimo trampolino: il paese d’origine.   

Lele, come e quando inizia il tuo rapporto con la musica? 

Non è stato amore a prima vista. Tutto è iniziato a sei anni con l’idea dei miei genitori di indirizzarmi verso il pianoforte. In realtà il mio rapporto con la musica inizia a dodici anni quando, per la prima volta, ho preso in mano una chitarra. Da lì la classica trafila con le band e i primi live nei locali. Poi ho iniziato a suonare il basso che mi ha portato più verso una direzione “accademica”, concretizzata a 21 anni con gli studi al Conservatorio. A 25 anni mi avvicino alla produzione musicale, alla composizione e a tutto ciò che ruota attorno. Ho subito capito che era quello che volevo fare e su cui volevo investire energie, tempo e risorse. 

Perché hai deciso di lasciare Roma e tornare a casa?    

Quell’esperienza mi ha dato la possibilità di perdermi in un momento in cui mi stava stretto tutto. Un periodo molto intenso dal quale sono uscito più forte e consapevole. Roma è una città immensa, così come la proposta e i professionisti che orbitano attorno a quella realtà. È molto complicato riuscire ad emergere e a far diventare un lavoro quello che ami senza un network di conoscenze consolidato. La Sicilia ha un potenziale enorme ma manca ancora qualcosa di strutturato e soprattutto le opportunità. Quelle che vorrei creare condividendo la mia esperienza con l’obiettivo di valorizzare i talenti e il patrimonio artistico locale. 

Pensi che il tuo progetto possa ancora evolversi altrove?

Ho già collaborato con una band di Oxford e un cantante svedese quindi non credo che il posto da dove svolgo il mio lavoro possa penalizzarmi in questo senso, anzi. La Sicilia è l’isola più bella del pianeta e grazie ad internet abbiamo ormai imparato che le distanze non esistono. 

Che valore dai alla musica? 

È un modo di vivere, faccio fatica ad immaginare la mia vita senza la musica. È comunicazione ma, per comunicare ad un pubblico quanto più ampio possibile, bisogna intercettare le esigenze musicali del momento e, in un certo senso, assecondarle. Da qui il mio avvicinamento a generi come il pop e il rap, apparentemente lontani per me che vengo dal jazz, che mi consentono di “parlare” ad una platea non solo più giovane ma estesa.

Chi ti accompagna in questo cammino?

Ci sono state delle persone che hanno fatto da “trigger” in questo percorso. Una su tutti, Tony Brundo. È lui che per primo ha creduto in me dandomi consigli, spunti professionali e aiutandomi a migliorare sempre di più. Un’altra figura molto importante per me è Manola Micalizzi che mi ha supportato fin dagli inizi col basso facendomi conoscere il repertorio. Infine, a 26 anni e durante il mio secondo trasferimento a Roma, ho conosciuto Paolo Buonvino che ritengo essere un supereroe della musica da film in Italia. Paolo mi ha dato la possibilità di cimentarmi in progetti nuovi e diversi che hanno ampliato le mie conoscenze musicali. Durante questa esperienza è cambiata totalmente la mia visione della musica, una tappa fondamentale per la mia crescita professionale e non solo. Infine, un mio amico fraterno e vero e proprio braccio destro: Rocco Amantia. A lui devo molto degli ultimi anni, non solo musicalmente parlando. 

Come hai vissuto un anno così particolare come quello che sta per concludersi?

Personalmente è stato un periodo molto utile. Mi sono fermato e ho pensato a migliorarmi sotto molti punti di vista, non solo quello professionale. Mi sono accorto che stavo correndo troppo, così ho rallentato e ho iniziato a godermi di più certi momenti. Ho continuato a studiare e ho passato molto più tempo con la famiglia e gli amici che sono linfa vitale per il mio percorso. Dedicare più tempo a loro è stato davvero molto importante per me.

Giuseppe, cosa ti ha avvicinato alla musica? 

Da un po’ di tempo sentivo qualcosa dentro che dovevo esprimere a tutti i costi. In realtà la musica è stata sempre dentro di me, è nel mio DNA poiché un mio bisnonno era un noto compositore. Quando ho iniziato non sapevo di avere talento, l’ho fatto quasi per scherzo e per mettermi alla prova. Poi ho visto i primi riscontri e ho iniziato a capire che forse c’era qualcosa di buono in quello che facevo quindi ho deciso di continuare. A maggio ho incontrato Lele, anche se lo conoscevo già come artista, che mi ha dato un indirizzo preciso per la mia crescita e nuovi stimoli e spunti sui quali lavorare per migliorare.   

Quanto ha inciso e incide il tuo vissuto, soprattutto le esperienze negative, in questo percorso?

Al 100%. Io scrivo quello che vivo. A volte quello che scrivo è frutto della mia fantasia ma quasi tutti i miei testi riflettono cose realmente accadute che mi hanno segnato e cambiato. Per me la musica è una salvezza, uno sfogo che mi fa stare bene. Quando scrivo un testo non penso a nulla, come se fossi su un altro pianeta. In ogni canzone cerco di raccontare una storia, devo assolutamente trasmettere qualcosa e mandare un messaggio a chi mi ascolta. 

Quanto conta il contesto in cui vivi per emergere? Secondo te è una componente decisiva nella crescita di un artista?

Nascere o vivere in contesto come Milano, oggi capitale del rap in Italia, ha sicuramente i suoi vantaggi. Credo, però, che il talento vada al di là del luogo che lo ospita. Conta ciò che fai, non da dove vieni. Se piace quello che scrivi, se piace la tua musica, il resto credo sia secondario. 

Come giudichi la scena rap italiana e a quali artisti ti ispiri?

Sono cresciuto con la musica pop e successivamente ho scoperto il rap grazie ai Club Dogo. Il mio artista preferito è Gué Pequeno ma seguo molto anche artisti emergenti, Speranza e Massimo Pericolo su tutti. Li apprezzo particolarmente perché sono molto “real” nelle esperienze che raccontano attraverso la musica. 

Perché la musica rap e trap sono così ascoltate e seguite dai giovani?

Penso che alcuni siano attratti più da quello che questi generei musicali spesso rappresentano che dalla musica in sé. Ostentare ricchezza crea fascino ed attrattiva nelle nuove generazioni che seguono più il personaggio che l’artista. A mio avviso, questo aspetto ha influito parecchio sul fatto che oggi il rap e la trap siano i generi musicali più ascoltati in Italia. 

Fare musica richiede molto tempo e sacrifici. Come riesci a conciliarli con la tua vita? 

Per me è tutto molto naturale. La mattina mi sveglio e la prima cosa che faccio è scrivere testi. Solitamente è al mattino che trovo le parole più belle, le note migliori. Sono spesso in studio ma quando ho davanti il microfono sono a mio agio e mi sento più a casa di quando sono nella mia vera casa.   

Cosa pensi dei social network?

Oggi si vive, si lavora e si fa tutto sui social. È anche attraverso di essi che cerco di esprimermi per raggiungere quante più persone possibili. Credo sia un ottimo modo per avvicinarsi ai fan e interagire con loro.  

Vuoi lanciare un messaggio?

Credo che ognuno di noi abbia un talento o qualcosa che ci faccia stare bene con noi stessi e gli altri. L’invito è di trovare questo qualcosa e tirarlo fuori, soprattutto nei momenti difficili. In passato la mia valvola di sfogo era il calcio, poi è diventata il pugilato. Oggi faccio musica ma non ho abbandonato guantoni e ring. Due cose molto diverse tra loro ma allo stesso modo tremendamente efficaci per il mio benessere psicofisico. 

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Un palco dove esibirmi in Sicilia per poter lanciare forte il messaggio che qualcosa sta nascendo, e sta nascendo qui. Mi piace sognare in grande, ovvio, ma piedi per terra, step by step.  

 

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