7 Luglio 2019

Tragedia di Ustica: il parere dell’avvocato Ottomano

2 minuti di lettura
Tragedia di Ustica: il parere dell'avvocato Ottomano

A distanza di decenni non c’è ancora una spiegazione unanime su come il velivolo cadde improvvisamente in mare.

Lo scorso 27 giugno è stato l’anniversario della tragedia di Ustica: sono diventati 39 gli anni trascorsi dal disastro che costò la vita a 81 persone imbarcate sul Dc9 dell’Itavia partito da Bologna e diretto a Palermo.

In occasione dell’anniversario sono anche tornate in circolo le ricostruzioni che tentano di smontare i pezzi di verità acquisiti con estrema difficoltà.

Si ripropongono tesi inerenti presunte guerra mai dichiarate, nel corso dei decenni smentite in sede giudiziaria, compresa quella civile (con tanto di risarcimenti ministeriali alle vittime per omissioni e depistaggi).

Tra le “voci” che sono circolate anche quelle relative all’esplosione di una bomba nella toilette di coda e il cedimento strutturale del velivolo.

Chi, invece di confutarle in termini espliciti, si limita a non citarle, viene comunque tacciato di propagandare bufale

Tra le ipotesi che si sono susseguite negli anni anche quella di una battaglia aerea tra jet militari culminata con il velivolo civile colpito per errore da un missile.

Questa versione è stata sempre confutata dall’Aeronautica militare ma è al momento la più accreditata e sostenuta anche da alcune sentenze civili.

“Il disastro aereo di Ustica da sempre annoverato tra i più intricati misteri italiani”, analizza l’avvocato Micaela Ottomano, apprezzata giurista, che aggiunge “a quasi quarant’anni dal tragico evento ancora molti aspetti non sono stati chiariti a cominciare dalla dinamica del disastro”.

Infatti, alcuni mesi fa, una nuova testimonianza ha riacceso la speranza di arrivare alla verità sull’esplosione e di dare, finalmente, risposte certe alle famiglie delle vittime che in tutti questi anni non hanno mai smesso di mantenere alta l’attenzione non solo mediatica.

“La testimonianza – spiega l’avvocato Ottomano – giunge tardiva ma potrebbe aprire nuovi scenari”. Brian Sandlin, all’epoca marinaio sulla Saratoga destinata dagli Usa al pattugliamento del Mediterraneo è intervenuto nella trasmissione Tv Atlantide su La7 e intervistato dall’eccellente Andrea Purgatori, autore della prima ricostruzione sulla vicenda, ha raccontato i fatti a cui assistette. “Quella sera – ha detto – ci hanno riferito che avevamo abbattuto due Mig libici. Era quella la ragione per cui siamo salpati: mettere alla prova la Libia”.Ci sarebbe stato il coinvolgimento di un’operazione Nato, con affiancamento di una portaerei britannica e da una francese. “La versione dei superiori fu che durante le nostre operazioni di volo due Mig libici ci erano venuti incontro in assetto aggressivo e avevamo dovuto abbatterli”, con queste parole, Sandlin, spiega quale fu la comunicazione ufficiale. “Su questa vicenda la magistratura italiana – riferisce la giurista Ottomano – ha condotto una lunga e tortuosa attività di indagine. Al processo di primo grado si giunse con due milioni di pagine di istruttoria, 4000 testimoni, 115 perizie, un’ottantina di rogatorie internazionali e 300 miliardi di lire di sole spese processuali e circa trecento udienze. Aprirono un procedimento le procure di Palermo, Roma e Bologna, mentre il ministro dei trasporti nominò una commissione d’inchiesta”. Dal 1982 l’indagine divenne, di fatto, di esclusiva competenza della magistratura, nella persona del giudice istruttore di Roma Vittorio Bucarelli. La ricerca delle cause dell’incidente, nei primi anni e senza disporre del relitto, non permise di raggiungere dati sufficientemente attendibili. Di recente, la corte di Appello di Palermo ha stabilito che lo Stato dovrà risarcire con 55 milioni di euro una parte dei familiari delle 81 vittime. In precedenza, esattamente il 28 giugno, la stessa Corte aveva già condannato lo Stato a risarcire altri 39 familiari per ulteriori 17 milioni di euro. Nelle tre sentenze la Corte di Appello del capoluogo siciliano quantifica il danno rimandando ai motivi della sentenza del 28 giugno secondo cui i ministeri di Difesa e Trasporti “avrebbero dovuto attivarsi per le opportune reazioni» e per consentire, ad esempio, “l’intercettazione del velivolo ostile al fine di garantire la sicurezza e l’incolumità di passeggeri ed equipaggio”. 

Il tribunale, sposando le conclusioni raggiunte in primo grado (concluso nel 2011 con la condanna degli stessi ministeri) e nell’ambito della lunga istruttoria penale condotta dal giudice Rosario Priore, ribadisce, sulla base del principio “più probabile che non”, che l’incidente del volo Itavia 870 si verificò “a causa dell’operazione di intercettamento realizzata da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del Dc9 viaggiavano parallelamente ad esso”. 

Da non perdere!

P