18 Luglio 2016

MARRACASH & GUÉ PEQUENO: “Il rap è una cosa seria. Questi nuovi ragazzini fanno solo dei pezzi pop con un paio di rime sopra”

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MARRACASH & GUÉ PEQUENO: "Il rap è una cosa seria. Questi nuovi ragazzini fanno solo dei pezzi pop con un paio di rime sopra"

Marracash e Guè Pequeno, protagonisti della cover story del nuovo numero di Rolling Stone – in edicola dal 20 luglio – di certezze non ne hanno molte ma rivendicano la serietà e l’importanza della loro musica, rappando a gran voce quanto “il sistema Italia” faccia schifo, misurato unicamente in view su YouTube. Si può essere d’accordo o meno con loro ma una cosa è certa: questo rap – aggressivo nel dissing, un po’ megalomane, molto spesso in torto nel criticare stili di vita diversi dal proprio – è vivo più che mai, a partire da Marra e Guè. Con il loro “Santeria” hanno unito le forze per combattere il lato oscuro della scena rap italiana e considerando la terza settimana in cui non si spostano dal primo posto della classifica, sono in molti a volerli seguire. Con Rolling Stone più che dei sassolini si tolgono dei mattoni dalle scarpe, mettendo ben in chiaro cosa li distingue e nonostante se la ridano di gusto dallo scatto di copertina, giudicano il rap argomento serissimo: (Marra): “Noi abbiamo iniziato a suonare in un’epoca in cui non c’era neppure il sogno di farci i soldi con il rap, e il rap dovevi amarlo fino al midollo, con tutto te stesso. Gente come Fabri Fibra, gli ex Co’Sang, si vivono la musica con una visceralità, con una sofferenza che i ragazzi di oggi non hanno. La maggior parte di loro pensa solo ai soldi. Io, quando facevo musica, volevo essere libero. Alla musica chiedevo di liberarmi dal lavoro. Avevo anche la smania di far soldi, chiaro, di prendermi una rivincita sulla scuola, sul quartiere, sui miei. Ma non volevo essere Laura Pausini. Invece questi sono disposti ad assoggettarsi pur di essere famosi. Sono passati per le nostre etichette indipendenti, per i nostri featuring. Li abbiamo cresciuti noi”. Però se contesti agli altri il fatto di partecipare a un talent show – chiede Rolling Stone – o di litigare su Twitter con un politico poi corri il rischio di precluderti in futuro di partecipare a un reality o litigare con un politico. (Marra): “La storia è piena di percorsi a sé, e di gente che non si preclude niente, vedi Manuel Agnelli. Per cambiare faccia si è sempre in tempo”. (Gué): “Io sono uno che ha sempre detto di voler fare soldi. La mia carriera è piena di errori, di aspetti controversi. Non voglio neppure fare troppo la morale, ma è giusto mettere qualche puntino sulle i. Non lo dico da rosicone. Il nostro è un disco orgoglioso. Siamo comunque due che vendono, due vincenti”. Marracash e Guè Pequeno continuano con la loro analisi: (Marra): “I giornalisti non capiscono gli stilemi del rap. Capiscono i capelli lunghi e la croce rovesciata di Ozzy Osbourne, ma non le collane nel rap. (Guè): Perché il calciatore può andare in Lamborghini e il rapper no? Io lavoro, mica vado a rubare. Tantomeno posso far ridere la gente per farmi considerare. Perché dovrei far ridere? Cazzo ridi? Il rap è una cosa seria, un patrimonio culturale, ha una storia, come il rock, ci fanno i film, ci sono i libri di Jay-Z, Jay-Z che va al Moma”. (Marra): “Per noi, qualche anno fa, c’è stata l’esigenza di mettere un piede dentro ’sta merda di musica italiana, da cui eravamo banditi. Così, siamo stati anche i primi a dover fare dei pezzi “passabili”. Io sono stato uno dei primi a collaborare con una uscita dai talent, Giusy Ferreri. I Club Dogo avevano fatto Pes e Fibra Tranne te. Insomma, c’era stato un tentativo di legittimare questa musica, e di portare la musica italiana nell’hip hop. Questi nuovi ragazzini, invece, fanno solo dei pezzi pop con un paio di rime sopra. Di hip hop non c’è niente. Il giornalista italiano medio coglie le differenze tra Manuel Agnelli e i Finley, ma non è altrettanto attento con l’hip hop”. C’è una rima su Renzi nel disco, ma a parte questo la politica è completamente assente dai vostri testi. (Gué): Mi ha sempre dato fastidio che, per essere considerato dai giornalisti, sia importante parlare di politica. Io ho puntato tutto sulla sincerità, mi piacciono le liriche esplicite. Se mi mettessi a fare l’attivista non sarei credibile. (Marra):  In questo disco non si parla di politica, un po’ perché ci è venuto spontaneo non farlo, e perché siamo nauseati da chi strumentalizza l’argomento. A me può succedere, citando Nas, di avvicinarmi più alla cosiddetta hood politics, cioè raccontare il quartiere e la strada”.

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