7 Gennaio 2016

“Cosa dobbiamo aspettarci dal 2016” a cura di Marco Jean Aboav

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"Cosa dobbiamo aspettarci dal 2016" a cura di Marco Jean Aboav

Ricorderemo il 2015 come l’anno della crescita deludente, degli asset più rischiosi che hanno continuato ad apprezzarsi grazie alle aspettative di politica monetaria, del petrolio ai minimi, del rallentamento della Cina e dei suoi effetti sui mercati, degli intrecci geopolitici in Siria e Iraq, del piano di salvataggio della Greci e in ultimo, ma non meno importante, della divergenza politico-monetaria tra Stati Uniti da una parte e Italia e Giappone dall’altra.

Molti di questi temi saranno ancora presenti nel 2016, ed alcuni eventi potrebbero accelerarne lo sviluppo. Analizziamo alcuni potenziali rischi per meglio comprendere un altro anno abbastanza complicato sul fronte degli investimenti finanziari.

Le tematiche chiave del 2016

L’economia globale sembra stabileLe aspettative sul PIL mondiale per il 2016 sono pari al 3,3%, al di sotto della media del 3,8% del periodo compreso tra il 2010 e il 2015, ma leggermente migliori della stima del 3% per il 2015.

Sull’inflazione, le aspettative nel 2016 sono del 3,2% sotto la media storica del periodo post-crisi ma comunque leggermente al di sopra del 2,9% del 2015.

Se si guarda all’Europa, si prevedono una crescita anemica e un innalzamento graduale dell’inflazione. Il Regno Unito sarà l’unico Paese in grado di trainare la crescita.

Tale quadro macroeconomico, quindi, non favorirà gli investitori in bond che dovranno far fronte, da un lato, ai tassi più alti negli Stati Uniti e nel Regno Unito (quindi a potenziali perdite in conto capitale per le obbligazioni) e dall’altro ai tassi pari a zero o negativi dell’Europa e del Giappone. Tuttavia, le obbligazioni italiane con scadenze di lungo termine potrebbero beneficiare degli interventi della Banca centrale europea e della ricerca di interessi positivi nel comparto obbligazionario da parte di investitori internazionali.

Semaforo verde per la politica monetaria divergente. La politica monetaria divergente che ha caratterizzato il 2015 tra Stati Uniti e Europa/Giappone proseguirà su binari distinti anche nel 2016.

Dopo la crisi finanziaria del 2008, l’economia statunitense è cresciuta più velocemente rispetto a quella europea e giapponese e la decisione della FED di aumentare i tassi dello 0,25% rappresenta solo l’antipasto dell’ulteriore stretta monetaria alla quale assisteremo nel 2016, un cambiamento graduale ma potenzialmente frenante per l’azionario USA.

Nel corso dell’anno la Banca d’Inghilterra dovrebbe avviare la sua politica di austerità monetaria, mentre c’è da aspettarsi che BCE e BOJ porranno rimedio alla crescita anemica e alla bassa inflazione con ulteriori esperimenti monetari, favorendo l’interesse tra gli investitori per gli asset più rischiosi ed investimenti al di fuori dell’area euro e Giappone. In questo scenario il dollaro americano potrebbe essere ancora il vincitore come nel 2015.

 

Il rallentamento della Cina non sara’ un’ apocalisseGli interventi della banca centrale cinese e la politica fiscale dovrebbero alleviare la decelerazione del Paese per il quale nel 2016 è prevista una crescita del PIL del 6,5%.

Questo nuovo stadio dell’economica cinese potrebbe creare stress in settori caratterizzati da alti livelli di debito, come quello minerario ed energetico in cui sara’ probabile assistere a possibili fallimenti e aggregazioni.

I mercati hanno già scontanto le aspettative negative per il settore energetico e minerario richiedendo tassi elevati in particolare negli Stati Uniti con i bond piu’ rischiosi che da inizio 2015 hanno avuto rendimenti pari a -6.5%.

Questi bond offrono un’opportunità di acquisto interessante perché la politica monetaria americana restrittiva è più che controbilanciata dagli attuali elevati tassi di interesse in questa asset class se nel 2016 non avremo un deja-vu dell’incubo nelle commodity del 2015 con petrolio giù del 35% e rame giù del 25%.

 

Il petrolio potrebbe essere un rischioso yoyo. Il rallentamento cinese e il tentativo dell’Arabia Saudita di contenere il prezzo del petrolio non riducendo la produzione per contenere l’espansione del business del fratturazione idraulica per estrarre petrolio e gas in America sono stati le principali cause delle crollo del prezzo del petrolio durante il 2015.

Le riserve possono raggiungere i livelli di massima capacità creando possibili rischi negativi per il prezzo del petrolio nel breve termine, potenzialmente anche un’ampia correzione se la domanda di petrolio dovesse sorprendere al ribasso.

Il consenso per il prezzo del Brent per la fine del 2016 è ancora al di sopra di 50 dollari al barile, rispetto agli attuali 37 dollari. Questi livelli mettono sotto pressione i Paesi produttori che cercheranno di fare pressione nel prossimo meeting OPEC, l’organizzazione dei produttori, nel 2016.

Inoltre, l’Iran, libero da sanzioni, nel 2016 potrebbe aggiungere all’attuale livello di produzione mondiale (95 milioni di barili al giorno) mezzo milione di barili al giorno.

Tuttavia, sul fronte opposto, il calo della produzione negli Stati Uniti, controbilancerà i livelli di produzione mondiale, creando le condizioni per portare i prezzi in linea con il consenso di fine anno.

 

Mercati emergenti: Cenerentola anche nel 2016. I mercati emergenti, esclusa la Cina, hanno raggiunto un rapporto debito pubblico/GDP al di sopra del 110% al quale si aggiunge l’incertezza legata al petrolio, ulteriore elemento negativo per i Paesi produttori.

Nonostante le valutazioni sull’azionario appaiono interessanti, i mercati emergenti rimangono ostaggio delle revisione delle previsioni al ribasso per crescita e utili aziendali, elementi che non favoriscono la fiducia degli investitori.

Va detto che rispetto alla crisi degli anni Novanta la situazione oggi appare migliore. Il rapporto tra

le riserve totali e il debito estero a breve termine (indicatore utile a misurare il rischio di liquidità del Paese a breve termine) è, infatti, ben al di sopra dei livelli di allora, oltre al fatto che oggi la maggior parte del debito è in valuta locale, quindi meno esposto a rischi in caso di svalutazione della moneta.

Prima che i Paesi Emergenti tornino a rappresentare un asset class interessante si dovranno valutare le prime conseguenze della politica monetaria divergente nei Paesi sviluppati.

 

Gli eventi da tenere a mente

Le elezioni negli Stati Uniti, in tutti i cinema nel prossimo autunno. Le elezioni presidenziali e del Congresso negli Stati Uniti, fissate per il prossimo autunno, potrebbero costare fino a $5 miliardi, più del doppio delle elezioni precedenti.

Nel mese di luglio, repubblicani e democratici si riuniranno per scegliere il proprio rispettivo candidato. Hillary Clinton, ex segretario di stato e first lady, dovrebbe essere il candidato del partito per i democratici, mente su fronte dei repubblicani la decisione appare meno chiara, dati i diversi candidati in grado di competere per la nomina con Donald Trump, il magnate immobiliare, come possibile contendente.

Nel breve periodo non ci sono reali implicazioni per l’economia, ma il periodo pre-elettorale potrebbe essere caratterizzato da un approccio alla politica estera molto morbido, soprattutto in Siria.

 

Il Rischio Brexit. Il referendum del Regno Unito sull’uscita dall’Eurozona previsto per il 2017 potrebbe essere anticipato al 2016. Le elezioni in Francia e Germania e il turno inglese alla presidenza del Consiglio dell’Unione europea nel 2017, potrebbero portare alla scelta di accorciare i tempi.

Un’economia forte e le preoccupazioni legate all’immigrazione sono elementi che possono polarizzare gli elettori indecisi verso il Brexit, ma le conseguenze economiche in caso di Brexit sono molto pericolose con la possibilità che la Scozia posso far pressione per un altro referendum di indipendenza.

Tale clima di incertezza politica potrebbe quindi innescare elevata volatilità nel corso dell’anno in ambito valutario, azionario e obbligazionario.

 

I potenziali errori di calcolo.

Collasso geopolitico in Medio OrienteLa Siria continuerà ad essere uno scacchiere geopolitico, ma la maggior instabilità potrebbe arrivare dall’ISIS se non arriverà un piano congiunto tra le parti coinvolte (Russia e NATO). Inoltre se l’Arabia Saudita, il pù grande produttore di petrolio al mondo, dovesse affrontare un rischio di contagio dalla guerra civile in Yemen, ed il petrolio dovesse rimanere ai livelli correnti (o minori) per un lungo periodo, l’impatto sul budget nazionale potrebbe essere pericoloso. Le conseguenze sarebbero proteste che potrebbero culminare con un tentativo di colpo di stato. Questo scenario potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio.

 L’azionario americano accusa la fine della sbornia monetaria. L’azionario americano dovrà far fronte alla fine degli stimoli monetari della FED. Nel periodo compreso tra la fine 2002 e l’inizio del 2007,  la crescita annuale dell’indice S&P 500 è stata del 14,3%. Tra la fine 2009 e i giorni appena trascorsi l’indice S&P 500 ha registrato una crescita annualizzata del 17,7%. Durante il primo periodo gli utili crescevono in linea con la salita’ dei prezzi, nel secondo invece assistiamo ad elemento molto chiaro: crescita degli utili molto lontana dalla forte crescita dei prezzi. Sembra che la politica monetaria e, indirettamente, le società che hanno riacquistato le proprie azioni, siano state le uniche ragioni per investire in azioni in questi ultimi anni.

Ma ora che il vento è cambiato sarà importante muoversi con prudenza, anche perché il mercato dei derivati sull’azionario americano non ci offrono ragioni per essere particolarmente positivi: il costo per proteggersi dal crollo dell’indice S&P500 è ai massimi negli ultimi 15 anni, segnale che storicamente segnala una correzzione a breve.

Un grave calo dell’azionario negli Stati Uniti potrebbe avere effetti disastrosi in particolare sui Paesi sviluppati e sugli Emergenti, rendendo nuovamente le obbligazioni tedesche l’unico asset sicuro, nonostante il rendimento negativo.

 

Il 2016 offrirà di certo diverse opportunità di investimento, data l’abbondanza di temi ed eventi. Al momento non si riscontra volatilità elevata sui mercati, ma l’estate scorsa la crisi greca e la bolla azionaria cinese ci hanno ricordato che bisogna sempre stare in guardia per non farsi cogliere impreparati.

Ecco perché, ora più di prima, la conservazione del capitale sarà per noi l’elemento fondamentale sul quale focalizzarci quest’anno.

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