Luciana Littizzetto è una mamma «più di cuore che di utero» (definizione sua). Ci vuole cuore per fare quello che ha fatto lei, otto anni fa, quando con il compagno Davide si è portata a casa, in affido, Jordan, oggi sedicenne, con la sorella Vanessa, oggi diciannovenne. «Non ho mai avvertito questa necessità della maternità biologica», racconta la conduttrice di Sanremo a Vanity Fair, che le dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 19 febbraio. «Neanche di avere in casa un bambino piccolo. Anzi: mi ero già avvicinata alla comunità dove stavano loro due, l’idea era proprio di prendermi cura di ragazzi più grandi. Per me era una cosa sociale. Ma mi sono scontrata con la verità che non è solo una cosa sociale, perché i bambini quando arrivano a casa vogliono la mamma, e piangono, e hanno la febbre. L’inizio è stato da panico perché pensavo: devo compensarli di quello che non hanno avuto, devo essere una mamma perfetta. Primo, niente parolacce… Finalmente, un giorno, ho fatto uno switch leggerissimo ma fondamentale. Faccio quello che posso, faccio la mamma come sono io, che sono diversa dall’impiegata o dalla vigilessa, perché faccio la cretina di professione». L’affido è, in principio, una soluzione temporanea, con la spada di Damocle di una famiglia biologica che c’è, che ha diritto di vedere regolarmente il figlio e che – se vengono meno le condizioni che hanno determinato l’affido – se lo può “riprendere”. Nel caso specifico la madre biologica, avendo perso la patria potestà, non poteva accampare diritti. È stata Luciana a volere che i contatti ci fossero. «Quel pezzo di passato esiste, e io ho insistito perché ce lo facessero stare, perché è una parte di te, e se cerchi di rimuoverlo poi è difficile da gestire. Prima o poi ci devi fare i conti, e perdonare». E c’è, all’orizzonte, un progetto ancora più generoso. «Un’esperienza che mi piacerebbe fare: l’affido dei neonati, i bambini piccoli piccoli che, in attesa di andare in adozione, hanno bisogno di cure e accoglienza in questo momento di passaggio. Dev’essere difficile, perché ti affezioni, le pretese crescono dentro. È un esercizio di amore gratuito. Vorrei provare».
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